“Inferno” – Francesco Maria Gallo

2021 – Autoprodotto

Quest’anno si celebrano i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri e sono svariate le iniziative culturali sorte per celebrare il Sommo Poeta. In questo filone si inserisce “Inferno” di Francesco Maria Gallo (cantautore, autore televisivo, storyteller nonché allievo di Umberto Eco), ispirato alla “Divina Commedia”.

L’apripista “Selva oscura” potrebbe trarre in inganno l’ascoltatore, con l’incipit caratterizzato da voce e chitarra acustica; poco prima del terzo minuto, però, la natura di questo lavoro irrompe esplicitamente: un’opera rock complessa, solenne, ambiziosa sia nella sostanza che nella forma.

Per quanto riguarda la sostanza, dicevamo che l’album è “ispirato” alla Commedia, quindi vengono ripresi i personaggi e le situazioni narrati da Dante, rielaborati in chiave moderna; una scelta indubbiamente ardita che però evidenzia l’attualità delle tematiche dantesche, opportunamente contestualizzate e filtrate con la valutazione critica dei nostri tempi.

Per quanto riguarda invece la forma, questo concept album riprende inequivocabilmente la tradizione del prog italiano degli anni ‘70, soprattutto Le Orme, il Balletto di Bronzo, i Trip, il Rovescio della Medaglia, PFM e Banco del Mutuo Soccorso, allo stesso tempo proponendo degli accostamenti sia ai Pink Floyd che alla pomposità epica dei Queen di inizio carriera.

In redazione abbiamo molto apprezzato sia l’intento ambizioso che il risultato finale, molto curato sotto tutti i punti di vista, soprattutto per quanto riguarda la produzione e l’esecuzione: si può apprezzare sensibilmente l’apporto di musicisti di comprovato valore come Ricky Portera e Pietro Posani alla chitarra, Pier Mingotti al basso, Stefano Peretto alla batteria, Simona Rae ed Enrico Evangelisti alle voci e Renato Droghetti alle tastiere. Non si sente solamente molta professionalità, ma anche un accurato lavoro di ricerca e sperimentazione sonora. La voce di Francesco Maria Gallo è molto particolare e potrebbe non piacere a tutti, specialmente al primo ascolto, in quanto risulta a tratti quasi manieristica, ma a nostro avviso questa sua peculiare caratteristica è a tutto vantaggio dell’opera.

Per quanto ci riguarda, ci sentiamo di promuovere questo lavoro: ci voleva un’opera così onesta e coraggiosa sia sotto il profilo artistico che intellettuale e potreste apprezzarlo soprattutto se il prog è pane per i vostri denti.

(tempo di lettura: 2’ 10)

Francesco says: Bello, raffinato e molto particolare nel cantato. Un’opera rock degna dei fasti anni ’70, con alcuni momenti veramente emozionanti. I pezzi sono pieni di dinamiche ed in generale il lavoro si fa apprezzare per la sua complessità, che a primo acchitto potrebbe sembrare difficile da capire, ma poi riesce a conquistare anche l’ascoltatore più esigente.

Luke says: un album complesso che merita di essere ascoltato più volte per essere apprezzato appieno, ma potrebbe darvi grandi soddisfazioni. Degne di nota “Francesca”, “Il gigante” ed “Ugolino”.

Anto says: ho apprezzato tantissimo tutta la parte strumentale, così solenne e ben fatta. “Bacio sospeso” mi è piaciuta molto, mi ha estraniato dalla realtà per tutta la sua durata.

“Inferno” – Francesco Maria Gallo

2021 – Salvoemme records

Quest’anno si celebrano i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri e sono svariate le iniziative culturali sorte per celebrare il Sommo Poeta. In questo filone si inserisce “Inferno” di Francesco Maria Gallo (cantautore, autore televisivo, storyteller nonché allievo di Umberto Eco), ispirato alla “Divina Commedia”.

L’apripista “Selva oscura” potrebbe trarre in inganno l’ascoltatore, con l’incipit caratterizzato da voce e chitarra acustica; poco prima del terzo minuto, però, la natura di questo lavoro irrompe esplicitamente: un’opera rock complessa, solenne, ambiziosa sia nella sostanza che nella forma.

Per quanto riguarda la sostanza, dicevamo che l’album è “ispirato” alla Commedia, quindi vengono ripresi i personaggi e le situazioni narrati da Dante, rielaborati in chiave moderna; una scelta indubbiamente ardita che però evidenzia l’attualità delle tematiche dantesche, opportunamente contestualizzate e filtrate con la valutazione critica dei nostri tempi.

Per quanto riguarda invece la forma, questo concept album riprende inequivocabilmente la tradizione del prog italiano degli anni ‘70, soprattutto Le Orme, il Balletto di Bronzo, i Trip, il Rovescio della Medaglia, PFM e Banco del Mutuo Soccorso, allo stesso tempo proponendo degli accostamenti sia ai Pink Floyd che alla pomposità epica dei Queen di inizio carriera.

In redazione abbiamo molto apprezzato sia l’intento ambizioso che il risultato finale, molto curato sotto tutti i punti di vista, soprattutto per quanto riguarda la produzione e l’esecuzione: si può apprezzare sensibilmente l’apporto di musicisti di comprovato valore come Ricky Portera e Pietro Posani alla chitarra, Pier Mingotti al basso, Stefano Peretto alla batteria, Simona Rae ed Enrico Evangelisti alle voci e Renato Droghetti alle tastiere. Non si sente solamente molta professionalità, ma anche un accurato lavoro di ricerca e sperimentazione sonora. La voce di Francesco Maria Gallo è molto particolare e potrebbe non piacere a tutti, specialmente al primo ascolto, in quanto risulta a tratti quasi manieristica, ma a nostro avviso questa sua peculiare caratteristica è a tutto vantaggio dell’opera.

Per quanto ci riguarda, ci sentiamo di promuovere questo lavoro: ci voleva un’opera così onesta e coraggiosa sia sotto il profilo artistico che intellettuale e potreste apprezzarlo soprattutto se il prog è pane per i vostri denti.

(tempo di lettura: 2’ 10)

Francesco says: Bello, raffinato e molto particolare nel cantato. Un’opera rock degna dei fasti anni ’70, con alcuni momenti veramente emozionanti. I pezzi sono pieni di dinamiche ed in generale il lavoro si fa apprezzare per la sua complessità, che a primo acchitto potrebbe sembrare difficile da capire, ma poi riesce a conquistare anche l’ascoltatore più esigente.

Luke says: un album complesso che merita di essere ascoltato più volte per essere apprezzato appieno, ma potrebbe darvi grandi soddisfazioni. Degne di nota “Francesca”, “Il gigante” ed “Ugolino”.

Anto says: ho apprezzato tantissimo tutta la parte strumentale, così solenne e ben fatta. “Bacio sospeso” mi è piaciuta molto, mi ha estraniato dalla realtà per tutta la sua durata.

Salvoemme – “Lovestronauta Part II”

2021 – Salvoemme records

Questa settimana ci immergiamo in un Concept Album firmato Salvoemme, cantautore siciliano residente a Milano, nonché busker che ha sfornato l’album “Lovestronauta Part I” nel Luglio 2020.  Ed oggi andiamo a recensire il seguente capitolo del suddetto progetto, chiamato “Lovestronauta Part II”.

Come anticipavamo, si tratta di un Concept Album composto da 8 tracce di circa 3 minuti ciascuna (cosa che ci ha fatto venire in mente il parametro della durata richiesta nelle programmazioni radiofoniche), incentrate sul tema più inflazionato nel campo artistico: l’amore.

Salvoemme si dimostra capace di testi originali e dallo stile ricercato, restando sulla linea romantica senza inciampare nel mellifluo e stucchevole. Gli arrangiamenti risultano dinamici e privi di sbavature, seppur alquanto simili tra loro (da aspettarselo in un Concept Album); le musiche, assolutamente piacevoli e di buon gusto, rivelano parti strumentali che raccontano raffinatezza e competenza esecutiva. Alta anche la qualità acustica delle armonie e dei volumi, questi ultimi molto ben amalgamati tra loro, senza creare fastidiosi dislivelli.

La voce di Salvoemme è sapientemente modulata, dal timbro delicato che ben si sposa allo stile per cui si presta. Una nota di merito va anche alla registrazione dell’album, con suoni decisamente ben tarati e molto puliti all’ascolto.

La redazione tutta ha assolutamente apprezzato l’utilizzo del mellotron all’interno della traccia “Il valzer di Venere”, probabilmente punta di diamante dell’intero lavoro.

Tra gli altri brani che hanno trovato la nostra approvazione, citiamo “Boomerang” con le sue accattivanti percussioni, “Terra mia” (che, peculiarmente, è cantata in dialetto siciliano) e “Un sorso d’acqua su Marte”, traccia d’apertura.

A voler trovare un punto debole, l’album non risulta particolarmente innovativo: l’assetto delle canzoni è molto uniforme, quasi per nulla variegato. Seppur non si gridi al capolavoro né disco epocale, “Lovestronauta Part II” è un lavoro pop pensato e prodotto davvero egregiamente.

Un applauso a Salvoemme per il suo album che la Redazione di Modern Music Magazine promuove senza alcun barlume di dubbio.

(tempo di lettura: 2’ 30)

Francesco says: Salvoemme sa emozionare senza usare troppa elettronica ed affidandosi al suo gusto musicale che ci riporta verso il pop più raffinato. Metriche e parole non banali descrivono momenti di vita e amore, sicuramente temi usati ed abusati nella musica moderna, ma con una acutezza da songwriter navigato.

Luke says: un album pregevole, musicalmente raffinato e realizzato in modo competente ed organico. Ho apprezzato in modo particolare “Un sorso d’acqua su Marte”, “Terra mia”, “Boomerang” e “Il valzer di Venere”, caratterizzata da un sapiente uso di Mellotron e Theremin.

Anto says: Disco pop sull’amore? Ho storto il naso. Poi l’ho ascoltato e mi son dovuta piacevolmente ricredere. Un disco che si fa “voler bene” dall’inizio alla fine, una piacevole scoperta.

Hermetika – “Wrong times”

2021 – Aldebaran Records

Con gli Hermetika ritorniamo a parlare di Hard rock, anche se venato di tinte pop.

Il gruppo, attivo dal 2014 e formatosi a Bergamo, si compone di 4 musicisti: Tommaso Morini (voce e chitarra), Silvia Rota (basso), Franco Gambioli (batteria) e Stefano Moroni (chitarra). 

L’Ep che andremo a recensire si chiama “Wrong times” e si compone di 4 brani, più il singolo “in another time” che ci mostra i ragazzi alle prese con un pezzo decisamente più pop, con tanto di video ufficiale.

Partendo proprio dal singolo, siamo rimasti colpiti dalla sua impronta più pop rispetto agli altri brani. La cosa che invece non ci ha colpito molto è la registrazione in generale che secondo noi manca di amalgama sonoro, con alcune sbavature nel tempo. Un mixaggio diverso forse avrebbe reso più onore al pezzo.

Parlando dell’EP invece “Siren’s song” è stata la canzone che ci ha colpito all’unanimità e con favore. Un sound tirato e compatto, con una parte ritmica degna del miglior hard rock anni 90 ed un assolo di chitarra breve ma intenso. 

“Evocation”, il brano di apertura, la segue a breve distanza: da notare la bellissima intro di batteria che fa capire a tutti che il gruppo ha scelto il brano di apertura perfetto. Nella parte centrale invece cambia tutto: le ritmiche rock serrate si affievoliscono ed il mood si trasforma in una ballad rock cantata in spagnolo prima di riprendere il suo ritmo incalzante. Effetto molto straniante che però emerge come punto a favore, mostrando la versatilità del gruppo.

Gli altri due pezzi “Broken wings” e “Kill the heart of Babylon”, registrati live, confermano il notevole tiro del gruppo, che alterna riff semplici ma di impatto a intermezzi che tengono alto l’interesse per il pezzo, malgrado il mixing sia un po troppo “scuro”, prediligendo i toni medio bassi.

Gli Hermetika ci hanno dimostrato di saperci fare e di essere riusciti a creare un loro particolarissimo sound.

Motivo per cui la Redazione si sente di promuovere l’album, ma con riserva: migliorare il mixing e la produzione globale dovrebbe essere uno dei punti su cui il gruppo dovrà lavorare per accrescere ancor più il loro valore aggiunto.

(tempo di lettura: 2’ 20)

Anto says: purtroppo questo EP non mi ha lasciato molto, nonostante “Siren’s song” mi sia piaciuta alquanto. Potrebbero fare di meglio o forse no, ma continuando così non si assicureranno quel qualcosa che li farebbe emergere. Dovete lavorarci ancora molto, ma avete una buona base di partenza.

Luke says: gli Hermetika hanno indubbiamente stile e personalità, ma questo EP è la riprova che ciò non è sufficiente. Mentre “Evocation”, il mio pezzo preferito, è ben registrato, gli altri brani soffrono di una realizzazione piuttosto grezza e poco ispirata, degna più di una demo che di un vero e proprio EP. In alcuni passaggi dei pezzi dal vivo invece a volte sembra che il gruppo non sia coeso in modo ottimale. Nonostante questi problemi però emerge chiaramente che il gruppo ha delle interessanti potenzialità che dovrà esprimere al meglio nei prossimi lavori.

Francesco says: il disoc non mi è dispiaciuto anche se poco omogeneo nei suoni e nella realizzazione. Pezzi come “Siren’s song” ed “Evocation” valgono l’ascolto di questo Ep e suonano veramente bene dentro le cuffie. Il problema è che il restante materiale avrebbe meritato un trattamento diverso, visto che il gruppo ha una sua impronta musicale molto interessante.

Ohm Guru – “Bedroom Playground 2”

2021 – Aldebaran Records

Stavolta le nostre orecchie hanno incontrato i suoni jazz-chill out di “Bedroom Playground 2”, quinto disco in studio del producer bolognese Ohm Guru, all’anagrafe Riccardo Rinaldi, partecipante del Festival di Sanremo dove vince un Premio della Critica con il brano “Zitti, Zitti”, presentato con il gruppo di cui è membro, Aeroplanitaliani, insieme ad Alessio Bertallot e Roberto Vernetti. Vanta, inoltre, numerose collaborazioni con svariati musicisti, arrangiatori e songwriters.

Ma andiamo a conoscere più da vicino l’album di oggi.

Il genere di “Bedroom Playground 2” è inquadrato anche come “musica da aperitivo” ed in questo rientra in toto, anche egregiamente. Riscontriamo un sound chill out ed ambient, decisamente d’intrattenimento, perfetto come sottofondo gradevole e per nulla disturbante. Non sono presenti tracce vocali, in quanto è un album esclusivamente strumentale, decisamente ben confezionato ed assemblato. Il livello di produzione è alquanto notevole e si distinguono diversi effetti di pitch shift, che donano giusta dinamica alle note di strumenti prevalentemente elettronici.

In alcuni pezzi troviamo un’elegante voce del sassofono, che crea un’atmosfera da jazz-ambient e che a qualcuno di noi ha ricordato l’inconfondibile stile di Fausto Papetti.

Tra le tracce che più ci hanno colpito citiamo “Mellotrones”, “Melancholia” e “Business bag”, che emergono sulle altre tracce con un loro mood più accattivante.

Album senza dubbio raffinato, tuttavia riteniamo ci si dilunghi troppo ed il genere tipicamente privo di testi non aiuta: il lavoro, purtroppo, appare dispersivo e ripetitivo, rischiando di cadere nella monotonia con conseguente noia da parte dell’ascoltatore. Probabilmente, un disco più conciso e composto da meno tracce avrebbe giovato alla riuscita del tutto.

Alla luce di quanto scritto da noi finora, nel complesso ci sentiamo di promuovere l’album, ma senza troppo entusiasmo.

(tempo di lettura: 2’ 05)

Anto says: nonostante non sia esattamente un genere che ami, ho trovato in questo album alcune tracce molto interessati come “Worry about nothing”, “Business bag” e “Middle”. Ottimo album da metter su in occasione di una cena estiva in terrazza, nell’intima atmosfera illuminata da suggestive lanterne.

Luke says: un album piuttosto interessante e, come espresso nella recensione, realizzato con cura e competenza, ma da considerare attentamente nell’ambito del genere al quale appartiene. Come musica di intrattenimento è molto gradevole, ed alcune tracce come “Return Trip”, “Let’s Forget This” e “Kids on Bike” meritano di essere ascoltate diverse volte, ma nell’ambito di un ascolto particolarmente attento sulla lunga distanza il lavoro potrebbe risultare un po’ ripetitivo. A mio avviso una tracklist più concisa avrebbe giovato, tuttavia mi sento di promuovere l’album.

Francesco says: un disco piacevole ma sulla lunga distanza un poco stantio. Perfetto per creare atmosfera, anche come colonna sonora per un viaggio: in generale, un buon viatico per spegnere la mente e lasciarsi cullare dal fiume di suoni sintetici che Ohn Guru cesella con solerte passione. Questo però diventa un’arma a doppio taglio se si cerca di aumentare il valore aggiunto del disco che, personalmente, considero limitato a quanto detto in precedenza. “Mellotrones” il mio pezzo preferito.

Kento – “Barre Mix Tape”

2021 – Aldebaran Records

Kento, pseudonimo di Francesco Carlo, è un rapper italiano molto attivo anche in ambito sociale che vanta una rubrica sul “Fatto Quotidiano” ed alcuni libri editi da Minimum Fax editi da Minimum fax. Proprio il titolo della sua ultima fatica letteraria (Barre– Rap, sogni e segreti in un carcere minorile) si accompagna all’album che stiamo per recensire, dal titolo Barre mix tape. 

Un disco molto crudo che riflette la condizione delle persone disagiate, i cosiddetti “losers” costretti a vivere una vita senza un futuro certo e senza avere una “seconda possibilità”.

Passando all’album, noi della Redazione siamo rimasti sorpresi dalla serie di collaborazioni che l’Artista ha stretto e che danno ancor più lustro ai 13 pezzi che alternano atmosfere rarefatte (come “Bourbon”) ad altri più crudi (“Barre Da Chiudere”), non disdegnando il rap più morbido (“Cazzate”). La produzione eccelle mentre la voce di Kento è particolare, potremmo dire dolceamara che calza perfettamente con il personaggio e le tematiche che canta. 

Il disco gira, trasmette emozioni grazie ai testi pieni di “senso” compiuto, quasi fossero tutti mini cortometraggi. In questo Kento dimostra una maturità che lo eleva dalla media dei rappers in circolazione.

La canzone che ci ha colpito è però “Pyongyang” in cui l’Artista traccia la storia di due ragazzi costretti ad una vita in perenne ricerca del loro essere ma senza avere una reale via di uscita. 

Promuoviamo l’album a pieni voti, con la reale voglia di leggere anche il libro per avere una visione ancor più completa dell’uomo e dell’artista.

(tempo di lettura: 1’ 35)

Anto says: Kento mi ha stupito: non reggo molto il genere in questione, eppure il suo lavoro è stato una piacevole rivalutazione, grazie anche ad un timbro di voce ampiamente di mio gradimento. “Bourbon” mi ha letteralmente conquistata, sul podio con “Pyongyang” (di cui ho preferito di gran lunga il testo alla melodia) ed “Orologi molli”. Bravo Kento!

Luke says: Ho trovato interessante questo album di Kento, che porta avanti il suo discorso di rap impegnato con coerenza e carattere. Sinceramente, i pezzi che non mi sono piaciuti sono davvero pochi e nel complesso non posso che apprezzare la capacità di Kento di spaziare nei vari sottogeneri del rap (ma non solo, ad esempio dub e raggamuffin) ed esprimere le proprie idee con lucidità e sagacia. Degne di nota “Orologi molli”, “Bourbon”, “Kumite”, “Pyongyang” ed “Escher”.

Francesco says: difficilmente mi capita di ascoltare questo tipo di musica e restarne colpito favorevolmente. Nel caso di Kento ho trovato molte assonanze con un certo tipo di realismo di Pasoliniana memoria. “Orologi molli”, “Bourbon”, “Cazzate” e “Pyongyang” le mie preferite in un album consigliatissimo.

STEALTH – “LIVE FOR YOUR FAITH”

2020 – NMTCG

Oggi, per la prima volta da quando esiste il nostro progetto Modern Music Magazine, andiamo a recensire un album live: “Live for your faith”, della band italiana Stealth formatasi nel 1997 dall’unione di 4 musicisti (Ivan, Daniele, Michele e Lorenzo) con in comune la passione e la voglia di fare del buon heavy metal.
E ci riescono, neppure limitatamente in Italia bensì in vari Paesi europei.

“Live for your faith”, come accennato all’inizio, è un album live uscito il 31/12/2020 sotto l’etichetta NMTCG e contenente registrazioni da vari spettacoli del tour “Fight For Your Tour”, che ha toccato Italia, Regno Unito e Slovenia tra il 2015 ed il 2017. La band è attiva da più di un ventennio, quindi parliamo di un gruppo ben rodato nonostante abbia subìto numerose variazioni di formazione e vanta oltre una dozzina di dischi.

Ma andiamo a parlare di questo lavoro entrando proprio nel vivo.

Le tracce, ascoltate ripetutamente dalla nostra redazione, sono 10 e risultano registrate in maniera qualitativamente buona, con suoni alquanto puliti considerando che si tratta di esecuzioni live. Chitarre e bassi, però, appaiono poco incisivi rendendo purtroppo flebile la loro “presenza” in questo lavoro musicale.
I brani che più ci hanno lasciato qualcosa sono  stati “Inner Land”, “Radiophobia” e “Statement to death”, risultati più completi e graffianti rispetto ai restanti più anonimi e scoloriti.

La voce, che ben si sposa con il genere musicale affrontato, ci ha ricordato i Metallica, i Korn e gli Iron Maiden; lo stile, invece, riporta vagamente ai System of a Down grazie a repentini cambi di tempo e melodia con passaggi duri intervallati da momenti decisamente più lenti ed armoniosi.

La redazione di Modern Music Magazine decide di promuovere l’album ma con riserva, in quanto il risultato si rivela “tiepido” e destinato a non rimanere impresso per via della mancanza di innovatività; ne consegue una recensione un po’ combattuta, che ha fatto molto discutere la redazione ma, tuttavia, all’unanimità riteniamo che in definitiva sia stato un piacevole ascolto di un lavoro messo in scena da musicisti che sanno il fatto loro.

(tempo di lettura: 1’ 30)

Anto says: l’album non mi è affatto dispiaciuto, sono poche le tracce che “salterei alla prossima”. Consiglio alla band di sperimentare qualcosa di originale, ingegnarsi per emergere in un genere musicale ormai molto inflazionato. La stoffa ce l’hanno, ora devono scavare nella loro creatività per non rimanere “uno dei tanti”.

Luke says: gli Stealth dimostrano di essere ben affiatati e compatti, forse la maggior parte dei pezzi non mi è sembrata particolarmente originale ma l’album si lascia ascoltare in modo piuttosto piacevole ed, anzi, in alcuni casi, come “Inner Land” e “Radiophobia” mi sono esaltato non poco. Si può ravvisare qualche sbavatura, ma nulla di particolarmente rilevante: è la testimonianza onesta dell’attività live del gruppo, senza artificiose correzioni in sala di incisione.

Francesco says: un ottimo disco live, suonato e prodotto molto bene. Non mancano momenti veramente buoni ed in generale il gruppo è collaudato e sa come tenere il palco. Un muro sonoro gradevole da sentire che mi ha colpito favorevolmente anche se non sono amante del genere.

CARLOBELLO – “CARLOBELLO”

2020 – Autoprodotto

Molto spesso la bizzarria è funzione direttamente proporzionale dell’estro. Sicuramente il progetto “Carlobello” viene pienamente compreso in questa considerazione introduttiva: come non rimanere spiazzati di fronte ai titoli dei pezzi dell’album ed alle note biografiche (che non vogliamo togliervi il divertimento di leggere)? Non lasciatevi fuorviare però da tale bizzarria, perché potreste commettere il gravissimo errore di ignorare un’autentica e rara perla nel panorama musicale italiano.

Cominciamo col dire che il progetto “Carlobello” è capitanato dal chitarrista Carlo Cappello, diplomato all’“IMEP Paris College of Music” ed al “Conservatoire municipal du 9e”, che per le registrazioni di questo lavoro ha reclutato alla batteria Maxx Furian (collaboratore di Fresu, Stern, Battiato, nonché docente al NAM), al basso Davide Pezzin (bassista e contrabbassista che collabora con Ligabue e Cristiano De André), William Nisi al sax, Mosè Andrich al pianoforte e Pasqualo Petoretti alla chitarra.


L’EP oggetto di questa recensione è composto da quattro pezzi di stampo jazz/fusion, stravaganti tanto quanto i rispettivi titoli (“Com’era atroce l’inverno sull’orlo della serie B!”, “Ma io sono la mitica anatra migrante”, “Il sole tramonta sempre su Marghera”, “Un misto di cose il cui sapore finale è tendente alla nostalgia”) ma, come dicevamo, non lasciatevi trarre in inganno: questa stravaganza si traduce in una facilità di ascolto che, siamo sicuri, coinvolgerà anche quella fetta di pubblico poco avvezza al genere. Il livello tecnico dei musicisti è eccelso, i pezzi scivolano via secondo incastri armoniosi ed ottimamente escogitati, strutture melodiche orecchiabili ma al tempo stesso ricercate che rievocano gli Weather Report, gli Yellowjackets ed i Perigeo, pregevolezze tecniche ed accostamenti arditi (ad esempio campionamenti di Nanni Moretti e Carmelo Bene o il basso effettato tramite una talkbox).

In redazione ci siamo trovati con il piacevole “imbarazzo” di non essere in grado di saper discernere il pezzo migliore da quello peggiore, perché ci troviamo di fronte ad un lavoro eccelso sotto tutti i punti di vista (anche quelli legati alla registrazione). A dir la verità, se proprio volessimo soffermarci a sottilizzare, questo EP ha un grande difetto: dura troppo poco! Aspettiamo quindi fiduciosi che nei piani futuri del progetto “Carlobello” ci siano delle sessioni di registrazione per un album completo.

(tempo di lettura: 2’ 05)

Anto says: ascoltando questo lavoro, ho provato rabbia. Rabbia perché tanta creatività, tanta competenza musicale e tanta professionalità non hanno adeguata visibilità. Una gemma che noi di redazione abbiamo avuto la fortuna di conoscere tramite Modern Music Magazine e che, altrimenti, sarebbe rimasta troppo nascosta. Un album eccellente, non v’è che dire, a partire dai titoli che sembrano piccoli componimenti poetici. Ascoltatelo, semplicemente.

Luke says: Un lavoro di qualità incontrovertibilmente ineccepibile, in cui si coniugano in modo delizioso forma e sostanza. I pezzi sono tutti ottimi e suonati in modo impeccabile dai musicisti, ovviamente con una registrazione in presa diretta che ne cattura l’essenza in modo fresco e spontaneo. Eccellente!

Francesco says: una qualità sonora che mi ha letteralmente colpito. Una qualità musicale altrettanto incredibile, merito di un gruppo di musicisti di altissimo livello e come in ogni storia perfetta, registrato tutto in una sola “take”. Carlobello è una realtà veramente promettente che, al pari di nomi più blasonati, porta la musica italiana realmente ad un livello superiore. Chapeau. Con lode.

Roberto Dr. Blues Comolli – “Life on the road”

2020 – Autoprodotto

Torniamo a parlare di Blues e questa volta lo facciamo con Roberto Comolli alias “Roberto Dr. Blues Comolli”, chitarrista italiano attivo sin dalla metà degli anni 80 che vanta collaborazioni live con il grande Fabio Treves e Arthur Miles, senza scordare Tino Cappelletti e Claudio Bazzarri del Dave Bracker Street band, solo per citarne alcuni.

Alla sua settima prova solista, dopo aver militato in alcune band, partecipando anche come Special Guest in alcuni live di una cover band tributo ai Lynyrd Skynyrd, Roberto registra l’album in modalità “home made”, visto il periodo e suona tutti gli strumenti, utilizzando solo una batteria elettronica per completare l’assetto ritmico dei pezzi.

Ne esce fuori un lavoro molto gradevole in cui l’amore per il Blues è tangibile sin dal primo pezzo “Down on the street”, una descrizione di ciò che accade durante la sua giornata di lavoro (è un tassista). Ciò che ci colpisce all’istante è il suo tocco sulla 6 corde, rigorosamente suonata con le dita come Jeff Beck e Mark Knopfler: pulito, tagliente e cremoso allo stesso istante. Merito di anni di prove e ripensamenti su vari strumenti fino a trovare la giusta combinazione sonora, assemblando pezzi diversi di chitarre e componenti di amplificatori per raggiungere il sound perfetto.

L’album prosegue con “The road”, un pezzo molto di atmosfera in cui veniamo deliziati da un assolo di “Claptoniana memoria”, impreziosito da un effetto delay che rende ancor più coinvolgente il suono della chitarra.

“Daddy song” ci ricorda l’intro di “Can’t find my way home” dei Blind Faith ed è dedicata al padre, mentre la seguente “Hats off to Stevie Ray” omaggia nientemeno che Stevie Ray Vaughan, altro chitarrista leggendario al quale Roberto si è sicuramente ispirato.

Per noi della redazione è stata però “What do you want from me” la canzone che ci ha entusiasmato di più, per via del suo incedere che alterna i classici giri blues con piccole influenze funky, il tutto su una base più rock del solito: l’assolo è uno dei più belli di tutto l’album. 

Il resto dei pezzi scorre via in maniera gradevolissima con un’altra perla “Blind Alley” che conferma, se c’era ancora bisogno, la grande tecnica chitarristica di Roberto: mai manieristica e vissuta con trasporto, nota dopo nota.

Rory Gallagher, SRV, B.B. King, Eric Clapton e J.J. Cale sono alcuni dei riferimenti che ci è parso di riscontrare in questo lavoro che ha solo la pecca di un missaggio delle parti vocali non all’altezza: troppo isolate dal resto della musica, con poca “botta”, che avrebbero meritato un lavoro di post produzione migliore. Abbiamo anche riscontrato delle imperfezioni stilistiche in alcuni pezzi ma si sa, il Blues è musica viscerale e spontanea in cui conta trasmettere emozioni più che essere perfetti.

Concludendo la nostra recensione, promuoviamo l’album aspettandoci dal suo nuovo lavoro (in fase di realizzazione) una produzione migliore che valorizzi ancor più le storie di vita che Roberto vuole raccontarci.

(tempo di lettura: 2’ 30)

Anto says: a me questo album è piaciuto. Piccole imperfezioni, registrazione che lascia un po’ a desiderare con poco piacevoli effetti “pianobar” forse dovuti ad una traccia vocale sbilanciata e troppo emergente rispetto allo strumentale. Tuttavia l’ho ascoltato con piacere e mi sento di promuoverlo.

Luke says: un disco che purtroppo mi ha convinto solamente a metà: la bravura di Roberto Comolli con la chitarra è indiscutibile ed alcuni pezzi, come “Daddy’s Song”, “Hats off to Stevie Ray” e “What Do You Want from Me” sono irresistibili, purtroppo l’album però soffre di una realizzazione tecnica piuttosto mediocre ed in alcuni brani anche alquanto sciatta (suoni in clipping digitale o fuori sincronismo, ad esempio), che non rende giustizia alla valenza artistica dei brani stessi. Capisco come il blues sia viscerale ed intrinsecamente sporco, ma anche l’orecchio vuole la sua parte. Spero che nel prossimo lavoro l’autore curi in modo molto più attento la parte relativa all’incisione.

Francesco says: partendo anche io dal Blues e chitarrista “mio malgrado” ho apprezzato in maniera estatica la padronanza dello strumento e i suoni che Roberto Comolli ha tirato fuori dalla sua “ascia”. Un sound essenziale fatto di pochi effetti e tanto sudore ma soprattutto amplificato dall’uso delle dita che regalano una definizione delle note e degli attacchi meravigliose. Le canzoni hanno un loro incedere molto simile ma ipnotico. Man, stiamo parlando della musica del diavolo: lui ci sta aspettando vicino l’incrocio per accordarci la chitarra.

Jimmy Damasi – “Tu sei come me”

2020 – Autoprodotto

Il lavoro che viene esaminato questa volta sulle pagine virtuali di “Modern Music Magazine” è l’album “Tu sei come me” di Jimmy Damasi, cantautore della provincia di Brescia con quasi quindici anni di carriera alle spalle, sia da solista che col progetto “Maskara”.

L’album si apre con “Anime rock”, un pezzo che contiene degli elementi comuni a tutti gli altri nove pezzi rimanenti: un rock coinvolgente impreziosito dalla chitarra di Alberto Ronchi, collaboratore di lunga data dell’autore, con sonorità non particolarmente aggressive, che strizzano l’occhio a melodie orecchiabili, cantate con grinta e verve dal Damasi: questo modo di porsi alle orecchie degli ascoltatori da parte di Damasi ci ha ricordato molto, senza alcuna velleità di imitazione pedissequa, Vasco Rossi ad inizio carriera.


“I segreti dei grandi chef”, con il riff ed il ritornello che rimane bene impresso nella mente, è indubbiamente il pezzo più accattivante di tutto l’album.

Dopo “Come neve”, più lenta ma intensa, e “Voci nella notte”, di stampo quasi britpop, arriviamo alla movimentata ed ironica title track, degna di menzione anche per la curiosa strofa “sei bella e solare come Kurt Cobain”.

“Io credevo che” e “Cosa vuoi di più”, che non ci hanno convinto particolarmente, precedono “Pattini d’argento”, simpatico pezzo che si discosta dagli altri per le sonorità più marcatamente votate alla dance ed all’elettronica.

“L’anima e i diamanti”, penultimo pezzo dell’album prima della conclusiva “È tutto ok”, è invece molto interessante sia sotto il profilo del testo che della musica, ben curata nella struttura e nell’arrangiamento.

Andiamo con ordine, esaminando gli aspetti positivi. In redazione abbiamo trovato questo album piuttosto curato dal punto di vista tecnico, ben suonato, ben arrangiato e ben registrato. Damasi è un personaggio davvero peculiare: lungi dall’avere una voce perfetta, che sarebbe peraltro risultata fuori luogo nel contesto dell’album, risulta verace, genuino, autentico, simpatico. Esaminando invece gli aspetti negativi, dal punto di vista delle canzoni abbiamo riscontrato delle luci ed ombre, perché se da una parte ci sono alcune canzoni a nostro avviso interessanti ed azzeccate, le rimanenti sono gradevoli ma tutt’altro che memorabili o innovative.
Tuttavia, bilanciando questi due aspetti contrapposti, ci sentiamo di promuovere questo album di Jimmy Damasi perché, nonostante le imperfezioni e la maggior parte delle canzoni non ci siano sembrate particolarmente degne di nota, vale la pena ascoltarlo con l’attenzione che merita.

(tempo di lettura: 2’ 15)

Anto says: ho ascoltato questo album più volte per capire se la mia opinione cambiasse strada facendo. No, non è accaduto. Non mi ha conquistata, non mi ha convinta. Riconosco però una bella strumentalità, con riff interessanti ed una egregia registrazione.

Luke says: secondo me questo album di Jimmy Damasi non è un capolavoro, anzi. Tuttavia è realizzato con cura dal punto di vista della produzione, scorre molto gradevolmente e ci sono alcuni pezzi molto interessanti. Damasi, poi, nel suo essere così spontaneo, mi è risultato simpatico.

Francesco says: un ottimo sound ma canzoni che non mi hanno colpito particolarmente. Pur apprezzando la coerenza stilistica del Nostro, avrei sperato in qualcosa di più ambizioso, perchè credo che il suo modo di essere artista non sia stato ben evidenziato in questo album.

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